IL TRIBUNALE MILITARE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa contro 1) Romito Salvatore, nato il 15 settembre 1973 a Casoria (Napoli), atto di nascita n. 684/A.I., e ivi residente in via Castagna Legge n. 219, celibe, incensurato; soldato in congedo, gia' nell'8 reggimento art. cam. smv. "Pasubio" in Banne (Trieste); 2) Pizzo Luigi, nato il 29 settembre 1973 a Napoli, atto di nascita n. 3406/A.I., residente a Ponticelli (Napoli) in via Botteghelle n. 442, celibe, incensurato; soldato in congedo, gia' nel 52 reggimento semovente "Torino" in Brescia; 3) Vallefuoco Luigi, nato il 21 luglio 1973 a Mugnano di Napoli (Napoli), atto di nascita n. 404/A.I., residente a Qualiano (Napoli) in via F.lli Bandiera n.40, celibe, fabbro, incensurato; soldato in congedo, gia' nell'8 reggimento art. cam. smv. "Pasubio" in Banne (Trieste); tutti liberi imputati di: Romito Salvatore a) rivolta (art. 174 primo comma n. 3 del c.p.m.p.) perche', soldato nell'8 rgt. a. cam. smv. "Pasubio" in Banne (Trieste), la sera del 16 agosto 1993 all'interno della caserma sede del predetto reparto, unitamente ai soldati Vallefuoco e Pizzo, nonche' ad alcune decine di commilitoni non identificati, rifiutava di obbedire alle reiterate intimazioni di disperdersi e di rientrare nell'ordine facendo ritorno alla rispettiva camerata (intimazioni rivoltegli dai s.ten. Corinti e Gentilezza) al contempo abbandonandosi ad eccessi (grida, schiamazzi ed ingiurie rivolte ai superiori intervenuti: reati di cui al capo F) e C) per Pizzo e Romito rispettivamente); b) disobbedienza aggravata (artt. 110 del c.p., 47 n. 2 e 173 c.p.m.p.) perche', soldato come sopra, la sera del 16 agosto 1993 rifiutava di obbedire all'ordine attinente al servizio e alla disciplina impartitogli dai superiori s.ten. Corinti e Gentilezza di posare a terra la mezza anguria che teneva in mano. Con l'aggravante di aver commesso il fatto alla presenza di oltre tre militari; c) insubordinazione con ingiuria pluriaggravata e continuata (artt. 81 cpv. c.p., 189, secondo comma, 47 n. 4 e 190 n. 2 c.p.m.p.) perche', soldato come sopra, nelle stesse circostanze di tempo e luogo di cui ai capi a) e b), con piu' azioni distinte, ma esecutive di un medesimo disegno criminoso, commesse in un arco temporale di circa mezz'ora, dapprima offendeva l'onore, il prestigio e la dignita' dei superiori s.ten. Gentilezza, Vitiello e Corinti, dicendo in loro presenza "andate via, non rompete i coglioni"; in momento prossimo, ma distinto offendeva l'onore, il prestigio e la dignita' del superiore s.ten. Corinti che gli aveva appena impartito un ordine attinente al servizio e alla disciplina (reato di cui al capo b), dicendogli "tu devi stare tranquillo". Per Pizzo Luigi di: d) rivolta (art. 174, primo comma, n. 3 c.p.m.p.) perche', soldato nell'8 rgt. a. cam. smv. "Pasubio" in Banne (Trieste), la sera del 16 agosto 1993 all'interno della caserma sede del predetto reparto, unitamente ai soldati Vallefuoco e Romito, nonche' ad alcune decine di commilitoni non identificati, rifiutava di obbedire alle reiterate intimazioni di disperdersi e di rientrare nell'ordine facendo ritorno alla rispettiva camerata, intimazioni rivoltegli dai s.ten. Corinti e Gentilezza, al contempo abbandonandosi ad eccessi (grida, schiamazzi e ingiurie rivolte ai superiori intervenuti: reati di cui al capo f) e c) per Pizzo e Romito rispettivamente); e) disobbedienza (artt. 47, n. 2 e 173 c.p.m.p.) perche', soldato come sopra, la sera del 16 agosto 1993 rifiutava di obbedire all'ordine attinente al servizio e alla disciplina impartitogli dai superiori s.ten. Corinti e gentilezza di posare a terra la mezza anguria che teneva in mano. Con l'aggravante di aver commesso il fatto alla presenza di oltre tre militari; e) insubordinazione con ingiuria, pluriaggravata e continuata (artt. 81 cpv. c.p., 189, secondo comma, 47 n. 4 e 190 n. 2 c.p.m.p.) perche', soldato come sopra, la sera del 16 agosto 1993, con piu' azioni distinte, ma esecutive di un medesimo disegno criminoso, dapprima offendeva l'onore, il prestigio e la dignita' dei superiori s.ten. Gentilezza e Corinti, dicendo loro per ragioni attinenti al servizio e alla disciplina "andate via, non rompete i coglioni"; in momento prossimo, ma distinto offendeva l'onore, il prestigio e la dignita' del superiore s.ten. Gentilezza, dicendogli sempre per ragioni inerenti il servizio e la disciplina "Gentilezza, in culo a te e a tutti i tenenti dell'8 Pasubio"; con le aggravanti di avere commesso il fatto alla presenza di piu' di tre militari e in danno di superiori preposti al servizio. Per Vallefuoco Luigi di: g) rivolta (art. 174, primo comma, n. 3 c.p.m.p.) perche', soldato nell'8 rgt. a. cam. smv. "Pasubio" in Banne (Trieste), la sera del 16 agosto 1993 all'interno della caserma sede del predetto reparto, unitamente ai soldati Romito e Pizzo, nonche' ad alcune decine di commilitoni non identificati, rifiutava di obbedire alle reiterate intimazioni di disperdersi e di rientrare nell'ordine facendo ritorno alla rispettiva camerata (intimazioni rivoltegli dai s.ten. Corinti e Gentilezza) al contempo abbandonandosi ad eccessi (grida, schiamazzi e ingiurie rivolte ai superiori intervenuti: reati di cui al capo f) e c) per Pizzo e Romito rispettivamente); h) resistenza alla forza armata (art. 143 c.p.m.p.) perche', soldato come sopra, la sera del 16 agosto 1993 minacciava il caporale Flori Daniele, che in quel momento espletava il servizio di guardia, per opporsi a detto graduato mentre questi adempiva ai suoi doveri attinenti al servizio di guardia armata, dicendo allo stesso "con te ci vediamo fuori". FATTO E DIRITTO In limine litis, i difensori hanno sollevato eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 174, primo comma, n. 3 c.p.m.p., che prevede il reato di rivolta, in relazione agli artt. 3 e 25 secondo comma della Costituzione, dal momento che il concetto di "eccessi", cui nella disposizione incriminatrice si fa riferimento, non sarebbe sufficientemente determinato. L'eccesso e' concetto - cosi' hanno sostenuto i difensori - che senz'altro puo' precisarsi in rapporto con altra nozione (ad es. eccesso nell'adempimento del dovere, di potere, di legittima difesa, ecc.); ma che nell'art. 174 risulterebbe indeterminato, proprio per la mancanza di un qualsiasi termine di confronto. Il pubblico ministero, da parte sua, ha, al contrario, prospettato l'inconsistenza dei dubbi di legittimita' costituzionale, in quanto gli "eccessi" acquisirebbero un preciso contenuto come comportamenti difformi dalla normativa disciplinare contenuta nel regolamento approvato con d.P.R. 18 luglio 1986 n. 545. La questione e', senza dubbio, rilevante nel presente giudizio, in quanto a tutti e tre gli imputati e' attribuito il reato di rivolta, e proprio nella forma per la cui sussistenza si richiedono come elemento essenziale gli "eccessi" in discorso. Con l'art. 174 del c.p.m.p. vengono, infatti, puniti (con la reclusione militare da tre a quindici anni i semplici partecipanti, e da quindici a ventiquattro anni i promotori, organizzatori o direttori) i militari che, riuniti in numero di quattro o piu', mentre sono in servizio armato rifiutano, omettono o ritardano di obbedire ad un ordine di un loro superiore; oppure prendono arbitrariamente le armi e rifiutano, omettono o ritardano di obbedire all'ordine di deporle, intimato da un loro superiore; o, infine, "abbandonandosi ad eccessi o ad atti violenti, rifiutano, omettono o ritardano di obbedire alla intimazione di disperdersi o di rientrare nell'ordine, fatta da un loro superiore". Ora, mentre la nozione di "atti violenti" e' sufficientemente determinata, ritiene questo tribunale che altrettanto non possa dirsi per il termine "eccessi", usato nell'art. 174 in senso assoluto. Deve escludersi, innanzitutto, che il concetto possa indicare, come ritiene il pubblico ministero, un qualsiasi comportamento che si discosti dalla normale condotta disciplinare delineata nel regolamento. Se ci si riferisce a questi parametri, quanto mai articolari e rigorosi, ben raramente potrebbe realizzarsi il meno grave reato di ammutinamento (art. 175 c.p.m.p.), consistente in una generica disobbedienza collettiva, e con un niente, ad esempio anche solo contravvenendo nel disobbedire a norme di tratto, verrebbe in essere il piu' grave reato dell'art. 174. Insomma, alla disobbedienza collettiva "armata" (nn. 1 e 2 dell'art. 174) sarebbe equiparata la disobbedienza collettiva in qualsiasi modo "indisciplinata", con conseguente palese violazione del principio costituzionale di uguaglianza. La locuzione "abbandonarsi ad eccessi" potrebbe, peraltro, acquisire un univoco significato qualora la si intendesse, come autorevoli lessicografi propongono, quale equivalente dell'espressione "dare in escandescenze": si tratterebbe, allora, di manifestazioni verbali o al massimo gestuali, determinate da irrefrenabile ira. Ma quest'orientamento non e' condiviso da alcuno, ne' in dottrina ne' in giurisprudenza, essendosi pacificamente affermato che il reato di rivolta puo' si' consistere in una disobbedienza collettiva cui si accompagnino fischi o urla; ma anche in manifestazioni ne' verbali, ne' semplicemente gestuali, quali lanci di oggetti, movimenti disordinati, danze di protesta, ecc. E del resto, se gli "eccessi" dovessero ridursi alle manifestazioni verbali o gestiali, riaffiorerebbe la violazione del principio di uguaglianza, essendo chiaro che, a parte gli "atti violenti" contemplati alternativamente, rimarrebbero comportamenti indisciplinati piu' gravi delle semplici manifestazioni verbali o gestuali, e tuttavia inidonei a tramutare l'ammutinamento nel piu' grave reato di rivolta. Il termine "eccessi" non puo', dunque, significare un qualsiasi comportamento che contraddica le regole della disciplina; ne' solamente espressioni verbali o gestuali indisciplinate. Esso, allora, deve indicare, secondo la piu' comune accezione, le manifestazioni estreme dell'indisciplina. Ora, dal momento che la penalizzazione di un comportamento consiste proprio nell'individuazione, nell'ambito di una gamma pressoche' illimitata di condotte contrarie a norme giuridiche, delle manifestazioni estreme e piu' gravi, come tali meritevoli della sanzione penale, quando questo compito, con l'uso nella disposizione incriminatrice di una terminologia indeterminata, viene delegato alla valutazione discrezionale del giudice, appare violato il principio dell'art. 25 secondo comma della Costituzione. Non solo: ne risulta vulnerato, per le disparita' di trattamento che possono derivare dalle diverse interpretazioni, anche il principio dell'art. 3 della Costituzione. Sia consentita un'ultima osservazione. L'art. 73 della legge 1 aprile 1981, n. 121, nel delineare la rivolta per gli appartenenti alla polizia di Stato, riproduce sostanzialmente l'art. 174 del c.p.m.p., con un'unica variante: non si prevede, tra le varie forme che il reato puo' assumere, l'inottemperanza all'ordine di recedere dagli "eccessi" disciplinari. Modificazione, questa, che non puo' dar luogo a censure nei confronti dell'art. 174 c.p.m.p. per violazione del principio di uguaglianza (dal momento che rientra nella discrezionalita' legislativa mantenere per la rivolta militare una disciplina parzialmente diversa da quella degli appartenenti alla polizia di Stato); ma che, senza dubbio, e' indicativa della diversa sensibilita' del legislatore della Repubblica, che ben si e' reso conto della fumosita' e indeterminatezza degli "eccessi" menzionati nella disposizione penale militare.